lunedì 14 aprile 2014

Qualcosa su mio padre

Questa è la famiglia di mio padre fotografata al completo nel 1920.




La qualità della foto non è delle migliori purtroppo... Al centro siede nonno Luigi con a fianco i figli maschi più piccoli, Franco e Tullio e alle spalle quelli più grandi, Aldo, in divisa e Arturo, mio padre (il più bello!!!).  Sarà un caso ma le femmine sono sistemate ai lati, la nonna Virginia con accanto la figlia Angiola e sul lato opposto Elsa.
A parte il nonno e lo zio Aldo che alla mia nascita erano già usciti di scena per motivi diversi - il primo era morto qualche anno prima e il secondo era definitivamente emigrato in America - tutti gli altri sono state presenze importanti nelle mia vita, alcuni di essi fino a tempi recenti.
Vorrei raccontare qualcosa di loro e spero che ciò che dirò dei loro tratti salienti non suoni come una mancanza di rispetto nei loro confronti. Al contrario li ho amati sinceramente proprio per quello che erano.
Di nonno Luigi so molto poco, ma da ciò che mi hanno raccontato di lui lo immagino come il classico travet, impiegato  scrupoloso e preciso alle prese con i registri contabili, con indosso le classiche mezze maniche nere a pretezione degli abiti che sicuramente dovevano durare molte stagioni.
Della nonna Virginia si diceva che la dolcezza non fosse il tratto fondamentale del suo carattere, ma io l'ho conosciuta quando era già avanti con gli anni e probabilmente aveva imparato a smussarne le asperità. Aveva sempre prestato molta attenzione al suo abbigliamento e non si sarebbe  mai azzardata ad uscire di casa senza cappello. La domenica, dopo la messa, veniva a pranzo da noi e in estate portava con sè un ombrellino da sole per proteggere la pelle del viso. Ricordo con assoluta chiarezza i ricciolini a molla che le incorniciavano la fronte e lo chignon che dava eleganza al suo profilo. Nella sua borsetta non mancavano mai le caramelle al miele Ambrosoli incartate di giallo, che mi piacevano un sacco.
 Con il tempo aveva perso quasi completamente l'udito, per questo lo zio Aldo le aveva spedito dall'America un moderno apparecchio acustico che lei indossava con orgoglio. Purtroppo però il timore che le pile si esaurissero troppo in fretta la induceva a tenere l'apparecchio spento e così per comunicare con lei dovevamo contrastare non solo la sordità ma anche i tappi nelle orecchie......Dopo pranzo si tratteneva un po' per sfogliare qualche rivista e sfidare mia madre a briscola e poi se ne tornava nel suo appartamento dove era perfettamente in grado di badare a sè stessa.
Quando si accorse che il suo tempo stava per finire, volle essere trasferita nella casa dei miei genitori perchè sapeva che, nonostante non fosse mai stata una suocera tenera, lì avrebbe ricevuto le cure amorevoli di mia madre. In quei giorni mia sorella Annami ascoltava da lei tante storie del tempo passato ed è per questo che noi ora la consideriamo la memoria storica della famiglia.
Lo zio Aldo era l'artista di casa. Era il primogenito ed era molto legato a mio padre, solo un anno più giovane di lui. Quando erano ragazzi spesso la nonna, alle prese con una nidiata di figli, li incaricava molto incautamente della custodia dei più piccoli che, a detta di mio padre, venivano lanciati in folli corse nelle loro carrozzine giù per le ripide strade del paese, per poi essere destramente riacchiappati all'ultimo secondo prima che si schiantassero contro qualche ostacolo. Per come la vedo io ,credo che qualche trauma permanente questi poveri bambini se lo siano portato dietro per tutta la vita.
Una volta diplomato all'Accademia di Belle Arti Carrara di Bergamo, lo zio Aldo visse una breve esperienza da bohèmien nelle soffitte di Citta Alta, ma ben presto si rese conto che l'ambiente che lo circondava non offriva stimoli alla sua vena creativa e decise di emigrare negli Stati Uniti. E fu così che mio padre fu costretto a vendere la sua amata motocicletta per aiutare il fratello a realizzare il suo sogno, ritrovandosi ad essere poco più che ventenne, il responsabile di tutta la famiglia.
E' probabile che lo zio Aldo abbia trovato negli USA ciò che l'Italia di allora non poteva offrirgli. Sappiamo che si dedicò con altri artisti alla realizzazione di grandi affreschi murali che ornavano la hall di famosi alberghi come il Waldorf Astoria o i saloni dei ricchi transatlantici di lusso che all'epoca facevano la spola tra l'Europa e l'America. In seguito si trasferì, forse attratto da più allettanti compensi, sulla costa occidentale, a Hollywood, per lavorare alle sceneggiature di grandi colossal, come i Dieci Comandamenti. Così facendo, credo,prese definitivamente le distanze da quel talento non comune che aveva saputo esprimere sulla tela nelle opere giovanili e nello stesso tempo anche i rapporti con la famiglia si fecero sempre più radi.
Passando in rassegna i personaggi della foto, in rispettoso ordina cronologico, è il turno della zia Elsa.
Ricordo che aveva una spiccata attitudine per la "teatralità": le piaceva indossare scialli, stole di pelliccia, tutto ciò insomma che potesse scivolare languidamente dalle spalle, stile femme fatale. Adorava i funerali - non ne perdeva uno - e per tutta la durata della cerimonia funebre, benchè non avesse mai conosciuto il caro estinto, manteneva un'espressione dolente, punteggiata a intervalli da profondi sospiri.Sembrava che la mestizia fosse il suo pane quotidiano. Ricordo che il venerdi, prima di avventurarsi tra le bancarelle del mercato in cerca di qualche buona occasione - non doveva essere facile crescere nove figli con lo stipendio da capostazione del marito - si recava in chiesa per assistere alla messa e ricevere la comunione e poi passava dalla casa dei miei genitori giusto per un saluto. Mia madre, sapendola a digiuno fin dalla sera precedente , le chiedeva : "Elsa, gradisci del te o del caffelatte ?" e lei con fare riluttante rispondeva invariabilmente: "Grazie, ma mi raccomando, che non sia più di una lacrima".Inutile dire che una volta esaurito il pathos della battuta, il suo appetito riprendeva tutto il suo vigore.
Della sorella più giovane,  zia Angiola, ricordo la timidezza e la riservatezza. Aveva un carattere dolce, dote non da poco se si considera che faceva la maestra. 
Viveva con il marito e i quattro figli nella frazione di un paese non lontano, dove nel '44 ad una contadinella era apparsa la Madonna. Il fatto, benchè mai riconosciuto ufficialmente dalla Chiesa, aveva suscitato grande scalpore ed erano in molti i fedeli che confluivano in quel luogo, per devozione, per curiosità, per speculazione, tanto che era stata edificata una cappelletta nel punto preciso dell'apparizione . A volte d'estate con mia madre e le mie sorelle ci recavamo a piedi in questa frazione sia per una preghiera alla Modonna sia per far visita alla zia. Devo confessare però che la cosa che mi mandava in estasi non era il miracolo dell'apparizione ma il fatto che la zia abitasse DENTRO la scuola. In realtà disponeva di un normale appartamento ma bastava attraversare un pienerottolo, aprire una porta e mi trovavo in una classe vera, con una grande lavagna appesa al muro e tutto il gesso a disposizione, senza alunni ovviamente,  libera di fare tutto quello che volevo. Sarà stata questa circostanza a far nascere in me la vocazione per l'insegnamento?
Le nostre visite erano brevi perchè sapevamo che il marito della zia era piuttosto ombroso, non gradiva gli ospiti e non si faceva mai trovare in casa. A distanza di tanti anni ci ritroviamo ancora oggi a sorridere ricordando quella volta che mia sorella Nicoletta lo sorprese nascosto nel pollaio in mezzo alle galline!
Lo zio Tullio era nato con la vocazione per "una vita da mediano" come dice Luciano Ligabue. Aveva un certo talento artistico, era intelligente, aveva un buon posto di lavoro, ma dal suo punto di vista le sue qualità non erano paragonabili a quelle dei fratelli più grandi. Forse in realtà non lo erano davvero, ma questa circostanza aveva creato in lui una frustrante mancanza di autostima che toglieva serenità al suo ambiente domestico. Mio padre cercava di incoraggiarlo, di sostenerlo, di aiutarlo a correggere certe sue debolezze, ma lui non sembrava sentire ragione.


Quando ripenso alle tragiche circostanze della sua morte sento un brivido lungo la schiena insieme a tanta tristezza al pensiero dell'abisso di solitudine in cui si era irrimediabilmente calato.
Lo zio Franco era il più piccolo della famiglia, aveva ben 17 anni meno di mio padre.Viveva con la madre e faceva l'agente di commercio. Anche se più in là nel tempo rispetto ai suoi fratelli, si sposò con una donna molto simpatica, dotata per sua fortuna di senso dell'umorismo, ed ebbero due figlie. La loro vita coniugale altalenava tra periodi di supercoccole alla ciccioeciccia, ad altri in cui i piatti volavano per casa con preoccupante frequenza, tuttavia nonostante l'instabilità di un simile ménage avevano trovato evidentemente un punto di equilibrio perchè vissero a lungo insieme e se ne andarono pochi mesi l'uno dall'altra.
Ecco, questa era la famiglia di mio padre e sono certa che, a ben guardare,se il ricordo di queste persone è rimasto vivo nel tempo  nella mia mente e nel mio cuore, è perchè c'è un filo sottile che lega le nostre vite, i nostri destini. 

Nessun commento:

Posta un commento