sabato 11 novembre 2017

Peccati di gioventù

Oggi le mode spuntano numerose come i funghi ad ottobre nella notte umida di un bosco tirolese e vivono, come diceva il poeta per la rosa, l'espace d'un matin....

Un tempo non era così: fino a un paio di decenni fa, forse tre, le mode si diffondevano e prendevano piede lentamente e, quando mettevano radici, finivano per rappresentare l'epoca di una o più generazioni che potevano, e possono ancora riconoscersi ,nell'etichetta "Quelli che....", seguita dall'elenco di  consuetudini condivise.

Io sono stata giovane negli anni '60 e , soprattutto nei primi anni di quella decade, sono stata inevitabilmente contagiata, evitandone gli eccessi, dalle mode e dai gusti di quegli anni. Per questo dopo i capelli cotonati, gli occhiali con la montatura pesante e le ballerine, cos'altro avrei potuto desiderare ?? una chitarra ovviamente...







Pensavo di incontrare l'opposizione dei miei genitori, se non quella delle mie sorelle, e invece l'idea di avere in casa uno strimpellatore era stata accettata di buon grado; probabilmente mio padre pensava di dover ancora espiare la colpa per quelle esercitazioni al violoncello che ci aveva inflitto qualche anno prima e che lui stesso aveva intitolato "le purghe di Maria Teresa"....


In quegli anni ,quando si partecipava alle gite in comitiva, o d'estate la sera sulla spiaggia, c'era quasi sempre un ragazzo che imbracciava una chitarra e in pochi minuti ci si ritrovava tutti a cantare canzoni ormai note. Sembrava  così facile.....e invece...

Invece, così come era stato facile avere una chitarra, incominciavo a capire quanto fosse difficile gestirla, prima ancora di suonarla. Non che mi mancassero i fans o gli emulatori...







Imbracciare correttamente lo strumento, coordinare i movimenti della mano destra con quelli della sinistra, trovare gli accordi sulla tastiera...per poter ottenere qualche risultato, avrei proprio dovuto farmi aiutare e a poco serviva il manuale che avevo comprato con la chitarra.






Qualcuno mi indicò un insegnante e così, un paio di pomeriggi alla settimana , prendevo l'autobus e andavo dall'altra parte della città ad imparare l'abc della chitarra.

L'insegnante era molto paziente, mi parlava di accordi e di giri armonici, mi indicava le note sullo spartito, mi apriva le porte di un mondo a me completamente sconosciuto.
Ricordo ancora la soddisfazione che provai quando per la prima volta arrivai senza intoppi alla fine di Il tango delle capinere e Oh , Susanna...

Le lezioni continuarono per tutto l'inverno. Quando uscivo con la chitarra a tracolla e i polpastrelli indolenziti si era già fatto buio e ad aspettarmi c'era Franco. Nonostante abitasse dall'altra parte della città, diceva di essere lì per caso e mi accompagnava fino alla fermata dell'autobus. E io, inconsapevole della storia che il destino aveva già scritto per noi, pensavo che quelle farfalle che sentivo nello stomaco, non fossero altro che fame.


Col il passare del tempo facevo progressi e ormai potevo esercitarmi sugli spartiti di canzoni più attuali, che comperavo nell'unico negozio di articoli musicali della città.






 
 
 
 
 
 
 
 













 
 
 
 


 
 
 




Non andavo più a lezione ormai, potevo strimpellare da sola, ma le mie esibizioni si limitavano alla famiglia. Non avevo il coraggio di suonare e cantare in pubblico, nemmeno con gli amici.
E poi c'erano altri impegni, altri interessi, altri progetti da rincorrere. Quello per la chitarra era stato in fondo un amore passeggero, un giocattolo per adolescenti, una parentesi comunque da ricordare con un pizzico di nostalgia.












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