mercoledì 19 luglio 2017

Oltre il cancello 2016:Eight Days a Week

C'era da mettere in conto che in sala l'età media degli spettatori sarebbe stata intorno ai 70, un dato trascurabile visto che  l'intento per tutti era quello di ritornare a vivere le emozioni musicali di una stagione lontana sì, ma mai dimenticata, grazie anche al talento di quei quattro ragazzi inglesi che nella prima metà degli anni '60 hanno scritto la storia della musica.

Per questo non potevamo mancare il 15 settembre all'uscita del film-documentario diretto da Ron Howard "The Beatles - Eight Days a Week"

 
 
 
 
All'inizio della proiezione qualche perplessità l'abbiamo avuta...una buona ora dedicata alla cerimonia di presentazione ufficiale da Londra, con lunghe interviste in inglese a personaggi per lo più a noi sconosciuti o semplicemente irriconoscibili perchè il tempo è passato per tutti e non bastano dentiere smaglianti a riportarlo indietro....ci faceva temere che lo spettacolo fosse tutto lì.
In effetti qualche benevola risata ce la siamo fatta nel vedere certi personaggi della nostra età con pettinature o abiti del tutto inadeguati alla dura realtà.
Ron Howard non è più quello di Happy Days, of course, e nemmeno Paul McCartney ha più il faccino rotondo da bambolotto;
bisogna riconoscere invece che Ringo Starr, all'epoca forse il meno bello dei quattro, oggi ha un aspetto più gradevole.
Unico neo per entrambi: il colore dei capelli....Ringo non è mai stato COSI' nero e Paul ha un color cockerino del tutto improbabile. Non era meglio rimanere come natura vuole? 
Entrambi erano accompagnati dalle mogli, belle tutte e due: una decisamente giovane, l'altra molto ben conservata.
Delle due vedove: Olivia Harrison veramente bella ed elegante; una donna di classe, mentre Yoko Ono, accompagnata da un badante, sembrava impedita nell'eloquio dalla dentiera...e gli occhialini di un tempo, sulla punta del naso in bilico precario, potrebbero essere un vezzo da dimenticare. Ma tant'è!

Torniamo al film, che racconta la storia della band dagli esordi al Cavern Club di Liverpool nel '62 all'ultimo concerto di S.Francisco del '66.



Attraverso filmati rari e inediti, accuratamente selezionati e restaurati, intercalati da interviste a personaggi particolarmente vicini alla band in quel periodo, Ron Howard ha saputo rappresentare in maniera molto efficace la rapida e straordinaria popolarità conquistata a livello mondiale dai Beatles in un'epoca in cui la comunicazione non aveva gli strumenti di diffusione di cui dispone oggi.
Gli stessi protagonisti sembrano i primi ad esserne stupiti e divertiti quando la misurano nelle tournée all'estero dove vengono accolti da migliaia di fans in completo delirio.
Alla lunga però, alla sorpresa e al divertimento, l'eccesso di popolarità diventa stressante, soprattutto perchè li tiene lontani dal luogo che continuano ad amare di più, lo studio dove nascono le loro canzoni.



Il film, o il documentario se preferite, mette in evidenza il forte legame che c'era all'epoca tra i quattro ragazzi,  il talento naturale che ciascuno di loro riusciva ad esprimere in armonia con gli altri, le decisioni che venivano prese di comune accordo e l'impatto che le stesse potevano avere anche a livello sociale: durante una tournée negli USA, quando i Beatles decisero che si sarebbero rifiutati di esibirsi negli stadi in cui si praticava l'apartheid, di fatto permisero a migliaia di giovani di colore di realizzare un sogno che sembrava destinato a restare tale per sempre.


Un altro aspetto che abbiamo apprezzato è quello di aver tralasciato ogni riferimento alle vicende della vita privata dei protagonisti o alle incomprensioni intervenute negli anni successivi.



Come chicca finale, al termine del film è stato proiettato, completamente restaurato, il famoso concerto del 1965 allo Shea Stadium di New York, compresa la fuga in macchina dallo stadio per sottrarsi al delirio dei fans.


Ci siamo divertite: abbiamo fatto un tuffo all'indietro di 50 anni e abbiamo rivissuto emozioni mai dimenticate.
Ci rendiamo conto, oggi, di essere state giovani nel momento migliore del secolo: dopo la guerra, riacquistata un po' di tranquillità economica, l'Europa aveva voglia di novità, era piena di entusiasmo ed era proiettata verso un futuro che DOVEVA essere migliore. Essere giovani, allora, ti faceva sentire protagonista  del miglioramento, ti faceva sentire importante e ti dava una grande carica. Il centro del mondo si spostava dagli adulti verso i ragazzi ed ogni ipocrisia doveva essere cancellata.
Le cose, poi, sono andate come tutti abbiamo visto, nel bene e nel male, negli eccessi e nelle sconfitte. Ma ciò non toglie che noi, allora, ci sentivamo "vivere" e la musica  ci accompagnava in ogni momento di quella vita. Soprattutto la musica dei Beatles.







 









 













 

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