Come tutti sanno, viaggiare è anche imparare: che si impari la storia, la geografia, una nuova lingua, gli usi e i costumi, la gastronomia di un territorio..., tutto contribuisce ad arricchire la nostra conoscenza e sta a ciascuno di noi farne poi l'uso più appropriato. A volte si imparano piccole cose che sono davvero di poco conto e restano in sottofondo un po' come il profumo che emana da un indumento dimenticato lì per caso e che fino a quando non svanisce continua a ricordarci la persona che lo indossava.
Dal viaggio recente in Campania, di cui ho detto in un post qualche giorno fa, ho portato a casa qualche spunto curioso che mi sono riproposta di approfondire una volta svuotata la valigia.
La rosa di Paestum - So da tempo che la classificazione delle rose è un vero dedalo in cui perdersi , ma che ci fosse una rosa proprio con questo nome lo ignoravo completamente.
Leggo nella guida del sito: la rosa è il simbolo della primavera e deve il suo nome alla ninfa Roda, figlia di Poseidone ed Afrodite . I greci antichi la chiamavano rodon, i romani rosa. E' fra tutti i fiori il più amato e apprezzato nell'antichità per la sua bellezza, il suo profumo e le sue proprietà, un misto di virtù cosmetiche, medicinali e culinarie. Le prime rose della primavera si offrivano a Venere composte in corone intrecciate con rami di mirto, durante la festa di Vinalia, a maggio.
La rosa di Paestum sbocciava due volte l'anno, una vera rarità, quando era naturale che vi fosse una sola fioritura annuale; molto diffusa tra i Romani, necessitava di una particolare tecnica di innesto, descritta da molti storici antichi. L'espressione Paestano cultu rimanda ad una abilità particolare dei Pestani nella coltivazione delle rose, dovuta a complessi innesti effettuati su rovi ancorati a canne leggere. Le tecniche pestane dovevano essere note ed utilizzate anche altrove se Plinio, a proposito della Campania, loda le coltivazioni delle sue rose, descrivendole come abbondanti, profumate, bifere, centifolie, proprio come quelle provenienti dalla lucana Paestum.
Scavi relativamente recenti hanno messo in luce una profumeria di cui si conserva, in ottimo stato, anche il torchio servito alla lavorazione dell'olio che è alla base della preparazione dei profumi antichi.
Poesie sui muri - Mentre ci accompagnava per le strade di Salerno, la guida ci aveva indicato velocemente un vicolo stretto sulle cui pareti risaltavano i versi di una poesia.
Uno scatto veloce e via... mancava il tempo per saperne di più.
Tornata a casa ho cercato qualche notizia in proposito e così ho appreso che in certe strade di Salerno, in particolare nel quartiere Fornelle, dove Alfonso Gatto è nato, i muri sono animati da poesie e murales non solo con i suoi versi , ma anche quelli di altri artisti come Di Giacomo, Montale,Eduardo De Filippo, Ginsberg, Hikmet, ecc.
E dopo aver viaggiato tra rose e poesia, cos'altro poteva sollecitare la mia curiosità ?!? un giallo...il giallo di Palazzo Rufolo.
Una brutta storia per la verità, di quelle che un tempo si raccontavano ai bambini per incutere timore, cosa che oggi fortunatamente non si fa più.
Quando nel 1850 Francis Neville Reid, uomo colto e raffinato, alla scoperta della costiera amalfitana giunse a dorso di mulo a Ravello, pensò di aver trovato il paradiso, non solo per la bellezza naturale del luogo ma soprattutto per quel palazzo, all'epoca poco più di un rudere, un tempo frequentato - si raccontava - da principi e re , ospiti di favolosi banchetti. Detto, fatto, lo comprò e ne avviò il completo restauro.
Ma nei racconti della gente del posto non c'erano solo i fasti di un lontano passato; c'erano anche storie inquietanti che non erano purtroppo frutto di sola fantasia.
Come noto, intorno ai luoghi abbandonati, l'immaginario collettivo tende a favoleggiare intorno all'idea di un ipotetico "tesoro nascosto", così all'inizio dell'Ottocento, intorno ai ruderi di Palazzo Rufolo, allora d'Afflitto, si vociferava di un tesoro nascosto, sulle cui tracce s'erano mossi in molti, in particolare un certo Don Paolo che con una verga d'ottone in cui era racchiuso uno spirito guida, raccontava di aver trovato in un sotterraneo inesplorato quattro grandi statue d'oro massiccio; con le statue però era apparso anche uno strano personaggio barbuto che in ebraico aveva sentenziato che nessuno avrebbe potuto godere di quelle ricchezze se non gli fosse stata portata l'anima di un bambino di tre anni.
Vent'anni più tardi, un losco individuo pluripregiudicato, in compagnia di alcuni balordi, ricordando quel vecchio monito , rapisce il piccolo Onofrio di circa tre anni e compie l'odioso sacrificio. Non troverà tesori, ma la condanna a morte con i suoi complici, come si legge nelle cronache giudiziarie dell'epoca.
Quasi certamente sir Francis Neville Reid aveva saputo di questa brutta storia e per dare prosperità e ricchezza al territorio, donò ai ravellesi strade, acqua e soprattutto il palazzo-giardino dei Rufolo riportato a nuova vita, non per opera di magia, ma per amore del bello.
La rosa di Paestum - So da tempo che la classificazione delle rose è un vero dedalo in cui perdersi , ma che ci fosse una rosa proprio con questo nome lo ignoravo completamente.
Leggo nella guida del sito: la rosa è il simbolo della primavera e deve il suo nome alla ninfa Roda, figlia di Poseidone ed Afrodite . I greci antichi la chiamavano rodon, i romani rosa. E' fra tutti i fiori il più amato e apprezzato nell'antichità per la sua bellezza, il suo profumo e le sue proprietà, un misto di virtù cosmetiche, medicinali e culinarie. Le prime rose della primavera si offrivano a Venere composte in corone intrecciate con rami di mirto, durante la festa di Vinalia, a maggio.
La rosa di Paestum sbocciava due volte l'anno, una vera rarità, quando era naturale che vi fosse una sola fioritura annuale; molto diffusa tra i Romani, necessitava di una particolare tecnica di innesto, descritta da molti storici antichi. L'espressione Paestano cultu rimanda ad una abilità particolare dei Pestani nella coltivazione delle rose, dovuta a complessi innesti effettuati su rovi ancorati a canne leggere. Le tecniche pestane dovevano essere note ed utilizzate anche altrove se Plinio, a proposito della Campania, loda le coltivazioni delle sue rose, descrivendole come abbondanti, profumate, bifere, centifolie, proprio come quelle provenienti dalla lucana Paestum.
Scavi relativamente recenti hanno messo in luce una profumeria di cui si conserva, in ottimo stato, anche il torchio servito alla lavorazione dell'olio che è alla base della preparazione dei profumi antichi.
Poesie sui muri - Mentre ci accompagnava per le strade di Salerno, la guida ci aveva indicato velocemente un vicolo stretto sulle cui pareti risaltavano i versi di una poesia.
Uno scatto veloce e via... mancava il tempo per saperne di più.
Tornata a casa ho cercato qualche notizia in proposito e così ho appreso che in certe strade di Salerno, in particolare nel quartiere Fornelle, dove Alfonso Gatto è nato, i muri sono animati da poesie e murales non solo con i suoi versi , ma anche quelli di altri artisti come Di Giacomo, Montale,Eduardo De Filippo, Ginsberg, Hikmet, ecc.
E dopo aver viaggiato tra rose e poesia, cos'altro poteva sollecitare la mia curiosità ?!? un giallo...il giallo di Palazzo Rufolo.
Una brutta storia per la verità, di quelle che un tempo si raccontavano ai bambini per incutere timore, cosa che oggi fortunatamente non si fa più.
Quando nel 1850 Francis Neville Reid, uomo colto e raffinato, alla scoperta della costiera amalfitana giunse a dorso di mulo a Ravello, pensò di aver trovato il paradiso, non solo per la bellezza naturale del luogo ma soprattutto per quel palazzo, all'epoca poco più di un rudere, un tempo frequentato - si raccontava - da principi e re , ospiti di favolosi banchetti. Detto, fatto, lo comprò e ne avviò il completo restauro.
Ma nei racconti della gente del posto non c'erano solo i fasti di un lontano passato; c'erano anche storie inquietanti che non erano purtroppo frutto di sola fantasia.
Come noto, intorno ai luoghi abbandonati, l'immaginario collettivo tende a favoleggiare intorno all'idea di un ipotetico "tesoro nascosto", così all'inizio dell'Ottocento, intorno ai ruderi di Palazzo Rufolo, allora d'Afflitto, si vociferava di un tesoro nascosto, sulle cui tracce s'erano mossi in molti, in particolare un certo Don Paolo che con una verga d'ottone in cui era racchiuso uno spirito guida, raccontava di aver trovato in un sotterraneo inesplorato quattro grandi statue d'oro massiccio; con le statue però era apparso anche uno strano personaggio barbuto che in ebraico aveva sentenziato che nessuno avrebbe potuto godere di quelle ricchezze se non gli fosse stata portata l'anima di un bambino di tre anni.
Vent'anni più tardi, un losco individuo pluripregiudicato, in compagnia di alcuni balordi, ricordando quel vecchio monito , rapisce il piccolo Onofrio di circa tre anni e compie l'odioso sacrificio. Non troverà tesori, ma la condanna a morte con i suoi complici, come si legge nelle cronache giudiziarie dell'epoca.
Quasi certamente sir Francis Neville Reid aveva saputo di questa brutta storia e per dare prosperità e ricchezza al territorio, donò ai ravellesi strade, acqua e soprattutto il palazzo-giardino dei Rufolo riportato a nuova vita, non per opera di magia, ma per amore del bello.